Continuano le mie interviste a donne e uomini che mi ispirano e mi danno fiducia nel futuro e che sono sicura possono mostrare a tutti, con il loro percorso un’alternativa ai classici percorsi che – secondo la nostra società – una persona deve seguire per essere felice, affermata o in linea con le aspettative che gli altri hanno di lei.
Questa volta voglio parlarvi di Sara Melotti, l’ho scoperta tramite il suo TedTalk e poi ho approfondito la sua storia che è davvero molto attuale. Il lavoro dei sogni, una città fantastica New York, ma poi qualcosa che fa crack e ci toglie il fumo dagli occhi. Era davvero questa la vita che volevo? Ecco la storia di Sara, buona lettura!
Chi è Sara?
Innanzitutto una persona, molto molto umana. Poi sono una viaggiatrice e un’ artista, più nel concreto per lavoro faccio la fotografa e scrivo.
Come sei finita a lavorare a New York?
È una storia lunga! Mi sono trasferita negli States (a Los Angeles) quando avevo 21 anni, all’epoca facevo la ballerina e stavo inseguendo quel sogno, un sogno che poi è sfumato poco a poco e mi ha fatta ritrovare a vivere a Las Vegas in piena crisi d’identità e con una forte dipendenza da xanax. In mezzo a quella crisi mi è stata regalata una macchina fotografica che un po mi ha salvato la vita, ho concentrato tutte le mie energie sulla fotografia e nel giro di 6 mesi l’ho trasformata in un lavoro a tempo pieno; ho iniziato con la fotografia di moda perché era il genere che più rispecchiava la mia visione molto femminile e romantica; per lavorare nell’industria della moda le città che offrono più opportunità sono poche (Milano, Parigi, Londra e New York City) quindi da Las Vegas mi sono trasferita prima a Londra e poi una volta “pronta” ho fatto il grande salto verso New York.
Quali erano le cose importanti per Sara di quel periodo e quali sono per la Sara di oggi?
Quando mi sono trasferita a NYC ero ancora una ragazza molto superficiale, volevo fare carriera nel mondo della fotografia di moda, sognavo di lavorare per Vogue, ero molto materialista e l’estetica aveva un peso notevole sulla mia vita (ne ero circondata) e sulla mia autostima. Poi ho avuto una crisi di coscienza, ho capito che il lavoro che creavo contribuiva a creare quegli standard di bellezza tossici irreali e irraggiungibili che facevano stare male me, le mie amiche e innumerevoli altre donne; non volevo più alimentare quella macchina killer d’autostima e quindi ho deciso di lasciarmi il mondo della moda alle spalle. Per fortuna o purtroppo ho una voce dentro di me — chiamiamola coscienza, anima, quello che volete — che non mi lascia semplicemente alzare le spalle e dire “va be!”, ma mi urla di fare quello che è giusto invece di quello che mi conviene (come diceva Tiziano Terzani), volevo far star bene le donne con il mio lavoro non opprimerle, così ho deciso di iniziare un progetto per fare ammenda, Quest for Beauty, ho iniziato a viaggiare per il mondo in solitaria per fotografare e intervistare le donne che incontravo, per chiedere a loro cos’è la bellezza, in un tentativo di riscoprire e ridefinire il significato della parola in sé.
Viaggiando i miei valori sono cambiati completamente: quando vedi il mondo in tutta la sua diversità, quando capisci che c’è gente che vive in maniera completamente diversa da te, gente molto meno fortunata di te che però ha tutto da insegnarti, la tua visione della vita cambia, tu cambi. Ho iniziato a scrivere, ad interessarmi di diritti umani e della condizione della donna nei paesi in via di sviluppo, ho capito l’importanza e il potere dello storytelling al servizio di buone cause.
La creatività, la verità e l’umanità sono le cose che per me oggi contano di più.
Quando ti guardi allo specchio pensi ancora che vorresti “fotosciopparti la faccia?
Assolutamente no, oggi ripenso a quella ragazzina che nel riflesso vedeva un mostro con tanta tenerezza. Non aveva la consapevolezza necessaria per difendersi dallo schifo che la società di oggi ci butta addosso. Ora, dopo tanto tanto lavoro di decondizionamento del pensiero, mi guardo allo specchio sorridendo, ci vedo un amica riflessa, una bellissima alleata a cui voglio un sacco di bene.
Cos’è per te la bellezza?
La risposta estesa la do nel mio libro, qui la riassumo così: è un’emozione, qualcosa che senti dentro, un qualcosa che va ben oltre la materia e il visibile.
Sul tuo canale YouTube tempo fa hai pubblicato un video dove spiegavi come fare belle foto Instagrammabili durante i viaggi, che percezione hai oggi quando rivedi quel video?
In quel video mostravo come farsi le foto quando si viaggia da soli, foto che all’epoca mi divertivo a fare perché era una cosa nuova, erano tempi dove la parola influencer non faceva ancora parte del vocabolario collettivo e in pochissimi facevano quel tipo di foto; poi nel giro di un paio d’anni TUTTI hanno iniziato ad emularle, e io ho perso completamente ogni forma d’interesse nel farle—il mainstream non è mai stato nelle mie corde, sono una grande fan dell’originalità e della diversità — la parola “instagrammabile” ha iniziato a starmi altamente sulle palle e a farmi venire il vomito. Ci sarebbe un discorso molto ampio da fare sulla distorsione della realtà causata da tutto ciò ma andremmo troppo per le lunghe. Diciamo solo che quando riguardo quel video penso all’innocenza con cui abbiamo iniziato questo loop che ora è diventato abbastanza tossico. Non l’ho mai cancellato quel video perché penso che faccia bene ricordarsi gli “errori” fatti in passato, sono un buon promemoria del percorso evolutivo svolto.
Se potessi cambiare qualcosa dei social network, quale sarebbe o in che cosa si possono migliorare?
Oddio qui scoperchi un pozzo senza fondo, ci sarebbe tanto tanto da dire su questo argomento, io ne parlo da anni. I social e la tecnologia hanno indubbiamente molti lati positivi e tanti vantaggi, ma hanno anche un lato oscuro di cui in molti non si stanno ancora rendendo conto. I social—e il modo in cui li utilizziamo—stanno rimodellando la società, rendendola sempre più superficiale, egocentrica e individualista, ancora più capitalista e dannosamente in competizione per via di quei fottutissimi numeri che ci forzano costantemente davanti agli occhi. Per non parlare della diffusione pericolosissima di disinformazione che hanno creato. In parole molto povere, i social sono disegnati apposta per sfruttarci (i nostri dati e la nostra attenzione) per un loro profitto economico e creare dipendenza. Infatti, anche se nessuno ne parla e nessuno lo ammette, soffriamo quasi tutti di una silenziosa dipendenza dai social — basta guardare, con orrore, il nostro screentime per capirlo — È una dipendenza che sta trasformando le relazioni umane, distorcendo la nostra percezione della realtà, distruggendo la nostra autostima e macellando la nostra soglia di attenzione, rendendoci sempre più incapaci di pensare con la nostra testa e facendoci sentire sempre più soli e disconnessi. E proprio perché si tratta di dipendenza, e perché ormai si sono costruiti dei mondi li sopra, non riusciamo più a farne a meno.
Chi ha in mano le App dovrebbe fare molto lavoro per renderle un posto più sicuro sia per la società (tipo trovare un modo per regolamentare le fake news etc.) sia per la salute mentale degli individui (tipo togliendo TUTTI i numeri, smettere di creare algoritmi disegnati apposta per farci restare dentro le App il piu a lungo possibile etc etc). I governi dovrebbero subentrare regolarizzando il modo in cui i social vendono i nostri dati alle compagnie, ma ci vorrà molto tempo perchè ciò accada.
Noi possiamo controllare solo l’uso che facciamo dei social e delle App. Per un uso sano dovremmo innanzitutto usarli meno, poi disattivare tutte le notifiche (che ci danno scariche di dopamina che alimentano la dipendenza); smettere di seguire gente che ci propina contenuti vuoti di significato o che non ci fanno sentire bene; non credere a tutto quello che vediamo, leggiamo, sentiamo (gli influencer non hanno le chiavi del mondo, la maggior parte delle volte sparano stronzate e alimentano la disinformazione) e controllare le notizie e le informazioni con fonti incrociate sempre; non guardare il telefono quando siamo in compagnia di qualcuno e essere presenti invece, lasciarlo in un altra stanza la notte.
La vita vera non è dentro il telefono.
Sara Melotti
Quanto è importante l’aspetto fisico nella nostra società e come vedi il futuro in questo senso?
In generale è ancora molto importante purtroppo ma sempre più persone stanno diventando consapevoli che ci sono cose più importanti a cui dare attenzione ed energie nella vita, quindi sono abbastanza ottimista sul futuro in questo ambito.
Riusciremo a liberarci degli stereotipi?
Io spero di si, è tutta questione di decondizionare il pensiero dal mondo esterno e concentrarsi invece sull’interiorità.
La prima cosa che pensi al mattino quando ti svegli?
La felicità è una scelta.
Cosa ti spaventa de futuro
Mi spaventa come il business, il marketing e il consumismo stiano avendo la meglio sull’arte, la creatività, la profondità, l’umanità.
Come detto prima — anche per via di come utilizziamo i social — vedo una società che sta diventando sempre più materialista, superficiale, distratta, disinformata, persa nel mare di saturazione di contenuti che spesso creano solo rumore e ostacolano la consapevolezza. Una società che non ha tempo e spazio per l’anima. E quando l’anima non conta la strada punta verso un’unica direzione: la disumanizzazione.
Il più grande complimento che hai mai ricevuto?
“Sei la persona più vera che abbia mai incontrato”
Come superi i momenti difficili?
Mi ripeto che siamo noi gli artefici del nostro destino e che però tutto succede per una ragione; cerco di prendere i momenti bui come occasione di crescita, mi faccio tante domande e tante seghe mentali che però poi portano sempre se non a una soluzione ad una sorta di evoluzione. La meditazione mi aiuta tanto in questo, mi aiuta a connettermi a me stessa e a capire meglio cosa voglio e cosa è importante davvero per me.
Però, per quanto ci piaccia pensare il contrario, non possiamo farcela sempre da soli: la connessione umana con le persone a cui voglio bene è un altro pilastro fondamentale nei momenti difficili. E poi c’è la mia psicologa, la salute mentale è un argomento ancora molto tabù, ma penso che uno dei regali migliori che mi sono fatta negli ultimi anni sia quello di iniziare un percorso di terapia, mi ha aiutata a conoscermi meglio, e conoscersi meglio è una delle cose più utili che possiamo fare con la nostra vita.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Nel 2021 farò una mostra per il mio progetto Quest For Beauty e ho un libro in uscita con Mondadori. Poi appena il mondo tornerà a scorrere come prima mi piacerebbe lavorare su un nuovo progetto, un progetto video questa volta, che ha a che fare col viaggio, col mondo e con l’umanità, si chiamerà “Ask a Local”.
Tutte le foto nel post sono di Sara, scoprite di più sul suo account Instagram
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