Fare il social media manager al tempo dei gattini – Quando ho iniziato a fare questo lavoro i social network a stento esistevano (sono vecchia, lo so, lo sto auto-ammettendo), ora sono il fulcro della nostra vita social-e e delle nostre attività lavorative, di qualsiasi tipo. Non importa che tu sia un idraulico o un brand da milioni di euro, la faccenda è la stessa. Avrai la tua nicchia, il tuo storytelling, le tue conversioni e forse il tuo Social Media Manager che si spaccherà la testa in due per capire come fare ad avere più like, più fans, più engagement, più tutto. E non importa che il SMM sia uno stagista o un gruppo di esperti, le difficoltà saranno, pressappoco, le stesse.
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Il problema dei like a tutti i costi
Ormai funziona così, se non hai like il tuo contenuto non è interessante. Idem per il numero di fans. Potrebbe sembrare vero, ma non lo è affatto. Vi spiego perché. Costruire l’identità di un brand, comunicare ogni giorno un pezzetto di qualcosa a qualcuno è difficile, complicato, richiede molto sforzo, ma mette realmente alla prova chi ama questo lavoro o ha scelto di farlo. Allo stesso modo i risultati non arriveranno in modo immediato, ma se il nostro piano di comunicazione funziona, l’obiettivo è chiaro, possiamo studiare i modi per provarci e anche cambiare il tiro se vediamo che qualcosa non funziona.
Cosa succede però, molto spesso il piano di comunicazione non c’è, il desiderio del SMM, dell’agenzia, del brand, ma anche della persona che per un motivo o per l’altro si trova a fare personal branding sui social è quello di avere consensi (subito); vedere la sua bacheca inondata di like e allora si piega al Dio dei gattini e delle gif, dei video divertenti. È questo che vuole la gente, la risposta. Ad una prima superficiale occhiata, parrebbe di sì, guardando le nostre bacheche ci rendiamo conto di quanto il tema della “leggerezza” sia sempre quello più premiato. Del resto scrolliamo la timeline di Facebook per distrarci, senza pensare troppo. Mettiamo like sull’onda dell’istinto, del momento, dello stato d’animo, senza neanche pensare più di tanto.
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Allora dobbiamo postare solo gattini? (Con tutto il rispetto per i gattini)
Sembra chiaro a questo punto che il modo più semplice per vedere crescere la nostra “social reputation” sia quello del like facile. Ed è vero funziona, nel breve periodo i like aumentano, soprattutto sotto il singolo post, la portata della nostra pagina non è segnata più in rosso ma in verde, sì ma a che prezzo? A questo punto però dovremmo chiederci, davvero chi ha messo like al nostro post simpatico ha capito chi siamo e cosa facciamo, o se n’è già dimenticato, dopo gli altri 100 post che sono seguiti dopo (magari tutti uguali)? La risposta la sappiamo tutti, le strade corte sono quelle che ci danno l’illusione di avercela fatta, per farci ritrovare poi a stringere semplicemente un pugno di mosche. Questa cosa è tanto importante sul profilo personale, quanto su quello dei singoli brand o aziende. La brand awarness è una faccenda delicata, e ci sono tanti libri che ci spiegano come provare a migliorarla. Un discorso che necessita di ore e ore di studio e tentativi matti e disperatissimi, ma che una volta ingranato porta ottimi risultati, e soprattutto duraturi. Non si avrà bisogno di comprare like o pregare qualche dio minore di far sopravvivere la nostra pagina all’ennesima ondata di gattini.
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Il case study: Freeda Media
L’avrete notato anche voi, il fenomeno Freeda è esploso in pochi mesi e ha portato una ventata di freschezza in un settore che sembrava non conoscere la parola originalità. Freeda ha portato con sé non solo un nuovo modo di intendere e fare contenuti, ma anche una strategia e un content plan con una mission ben definita. Se non sapete di cosa parlo correte subito a leggere qualche articolo e a controllare la pagina Facebook. Ho cercato qualche info in più e scoperto chi si nasconde dietro questo progetto e soprattutto il piano di comunicazione che ha dato linfa e successo poi, in rete, al tutto. Sapete che loro sfruttano i social e non hanno un vero e proprio sito, ma solo una landing page? Interessante escamotage che ammortizza i costi di un sito vero e proprio e fa canalizzare le energie in quello che dà veramente valore al brand: il contenuto. Qui trovate l’intervista integrale
In questo caso abbiamo sin dall’inizio chiaro:
- L’obiettivo di Freeda: “diventare la voce più forte e indipendente delle donne tra i 18 e i 34 anni”.
- Cosa vuole comunicare: “Freeda non dice alle donne come devono essere, come devono vestirsi, come devono comportarsi, ma le aiuta a tirare fuori il meglio di sé. Il terzo valore è la collaborazione tra donne”.
- Come lo vuole comunicare: “attraverso contenuti autentici, rilevanti e dal tono di voce ironico, mixando questioni molto importanti e attuali a contenuti più leggeri e divertenti, perché ci rivolgiamo a una generazione che ama approfondire, informarsi e divertirsi, ma che non vuole evadere dalla realtà, anzi si impegna per dare il proprio contributo positivo al cambiamento. Questo passaggio non è banale, spesso i millennial sono ritratti come una generazione di inetti, ma la realtà è ben diversa”.
È logico che, avendo ben chiari questi tre punti nevralgici del “discorso Freeda”, sia più facile avere coerenza e riuscire a fidelizzare un certo target di donne. Sì target, perché rimane una variabile importante voler piacere a qualcuno e non a tutti, a volte è proprio questo che porta alla diffusione di contenuti generalisti che portano a mettere like a persone talmente diverse tra loro che diventa poi difficile mantenere un discoroso coerente e di qualità. Ricordiamo, a tal proposito, una della massime più amate di Facebook a tale proposito: “Se volevo piacere a tutti nascevo Nutella”. E tra l’altro Freeda usa gattini, gif e video ma è come lo fa a fare la differenza, lo fa rimanendo coerente con il messaggio di fondo che vogliamo trattare.
A tal proposito un estratto che mi sembra fondamentale per capire:
“Freeda a oggi è un editore 100% social, quindi anche i nostri articoli sono progettati per essere fruiti direttamente da Facebook come Instant Articles, considerando anche che la nostra audience trascorre la maggior parte del tempo online da mobile e su piattaforme social. Gli Instant Articles hanno una velocità di caricamento perfetta anche per chi naviga da 3G. Dal punto di vista editoriale invece ci siamo concentrati principalmente su tre formati: profili biografici di storie di grandi donne, divulgazione di ricerche scientifiche su tematiche rilevanti per la nostra audience e approfondimenti culturali. Copriamo anche l’attualità, ma ovviamente con il filtro dei nostri valori”.
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La strada più facile è quella che non ti porterà da nessuna parte
L’ho sperimentato sulla mia pelle e anche lavorando per varie aziende e agenzie di comunicazione. Ogni volta che ho provato una scorciatoia, sono dovuta tornare indietro e fare tutto il giro lungo, daccapo. Eppure, devo ammettere che provando e riprovando, la soddisfazione di trovare la strada giusta è davvero enorme. Ogni giorno si ricomincia, occorrerà studiare, applicarsi, imparare a fare cose nuove, diverse dalla massa, a non seguire i trend del momento e avere una propria voce, ben riconoscibile ed identificabile. La domanda che occorre porsi più spesso è: “Perché qualcuno dovrebbe seguirmi?” – e di conseguenza, qual è il messaggio che voglio far trapelare dai miei post, video, foto e tutti i tipi di contenuti che di solito vengono usati sui social media. Insomma, non è una questione semplice e soprattutto non si può improvvisare. Studiare, evolversi prima come individui che come profili social è il primo passo per dare un senso a ciò che comunichiamo. Se ci fate caso, molto spesso i profili a cui siamo più affezionati, sono quelli che appunto ci trasmettono qualcosa in modo unico e non sono il copia e incolla di altri, poi magari seguiamo anche quello che è la copia dell’altro ennesimo profilo perfetto secondo i cliché del momento, ma lo facciamo solo per curiosità.
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