Nello scorso episodio del mio podcast ti ho raccontato di come mi sia pian piano distaccata dallo shopping impulsivo dettato dal fast fashion. Ti ho spiegato come l’ho fatto, riducendo pian piano e diventando più consapevole nell’acquisto, ma non ti ho ben raccontato perché l’ho fatto.
Diminuire il numero di cose che avevo in casa è sicuramente una di queste, ma pian piano ho iniziato ad informarmi meglio e ho scoperto che c’erano altri motivi per cui ridurre questo tipo di acquisti sarebbe stato importante.
Prima che tu lo pensi voglio avvisarti che non ho nulla contro chi acquista da brand fast fashion, per citarti i più famosi, Zara, Mango, H&M, Stradivarius, etc. ma sento di doverti raccontare del motivo per cui ho fatto questa scelta.
Approfondiremo questo tema in vari episodi del podcast quindi se ti interessa l’argomento non perderti anche le prossime puntate, considera che mediamente pubblico un episodio a settimana, ma potrai sempre recuperarli qui sul blog, se invece vuoi leggerli con calma.
Che cos’è il fast fashion?
Ma partiamo dunque dal principio e dalla definizione di fast fashion riportata da Wikipedia
Fast fashion è un termine moderno usato dai rivenditori di moda per esprimere un design che passa rapidamente dalle passerelle e influenza le attuali tendenze della moda.
Questo tipo di collezioni di abbigliamento si basa sulle ultime tendenze presentate alla Settimana della moda ogni anno in primavera e in autunno.
L’enfasi è posta sull’ottimizzazione di determinati aspetti della catena di produzione, affinché queste linee di moda siano progettate e prodotte in modo rapido ed economico, per consentire ai consumatori di acquistare a basso prezzo. Questa strategia di produzione rapida a un prezzo accessibile viene utilizzata dai grandi rivenditori come H&M, Zara, Primark e Topshop. Tale filosofia si è diffusa, in particolare, durante la moda “boho chic” a metà degli anni 2000.
L’obiettivo del fast fashion, creare sempre nuovi desideri e quindi bisogni
L’obiettivo principale del fast fashion è quello di produrre rapidamente un prodotto in modo economicamente efficiente, per rispondere ai gusti dei consumatori in continua evoluzione e generare nuove tendenze quasi in tempo reale.
Questo significa produrre a velocità folle in paesi con un basso costo di manodopera e con tessuti di bassa qualità che però riproducono spesso fedelmente capi di alta moda altrimenti inaccessibili. Le nuove collezioni arrivano in negozio ben due volte a settimana, io ho lavorato durante il periodo universitario per un paio di mesi presso una di queste catene e posso confermarlo. Il meccanismo è volto ad innescare continuamente in noi nuovi desideri e di conseguenza nuovi bisogni che alimentino questa produzione e vendita continua.
Perché guardare il documentario The True Cost
Per me l’inizio della consapevolezza è avvenuto quando ho visto il documentario The True cost.
Questo documentario mostra per bene il prezzo reale che paghiamo in termini di risorse umane, naturali, rispetto a quel piccolo prezzo che invece troviamo sul cartellino. È questo che deve farci riflettere, pensiamo non ci interessi se vengono inquinati mari e fiumi in Bangladesh perché lontani da noi, se vengono calpestati i diritti di donne e uomini, se perdono la vita
Il crollo del Rana Plaza di Savar in Bangladesh, nel 2013, è considerato il più grande incidente legato all’abbigliamento nella storia ed ha avuto un ruolo fondamentale nel porre maggiore attenzione sulla sicurezza nel settore della fast fashion
Ma quel battito d’ali, arriva fino a noi e porta conseguenze sulla nostro stile di vita più di quanto pensiamo.
Nel prossimo episodio del podcast e poi qui sul blog, parleremo di quali sono le marche fast fashion e come riconoscerle, oltre a quelle più celebri ce ne sono molte altre che possiamo verificare non essere proprio etiche, vi spiegherò come fare per diventare dei consumatori sempre più consapevoli.
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