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La sala professori, quando la scuola è l’allegoria di una società disgregata

Disagio, stress, tensione, impotenza.

Sono queste le sensazioni che mi hanno accompagnata lungo la visione de La sala professori di İlker Çatak, visto rigorosamente in lingua originale, come è giusto che sia, ogni volta che è possibile.

Sono trascorse già alcune settimane da quando ho visto questo film, ma ci tengo a parlarvene perché, quella tensione che mi ha lasciato addosso, non mi ha ancora mollata. Quindi, per me, è un buon film.

Di cosa parla La sala dei professori? La trama e il trailer

È ambientato in una scuola pubblica di una cittadina tedesca. Come la maggior parte delle scuole, le classi sono spesso multiculturali.

Nonostante molti di questi bambini siano in realtà nati in Germania, si portano comunque dietro lo stigma del razzismo e del pregiudizio sociale e ce ne accorgiamo sin dai primissimi minuti.

Tant’è vero che anche in una scuola molto attenta all’inclusione, nel momento in cui si crea un problema, come quello di alcuni piccoli furti, i primi ad essere sospettati sono proprio alcuni bambini che – casualmente – appartengono ad un’altra cultura.

L’insegnante Carla Nowak – interpretata dalla bravissima Leonie Benesch – mossa da una maieutica costruttivista basata sulla collaborazione, decide di scardinare autonomamente questo modo di pensare trovando da sola il colpevole.

Si ritrova in realtà ad aumentare il disagio creando ulteriori pregiudizi senza essere davvero certa di come siano andate le cose e trovandosi a gestire un’intera comunità ormai infiammata da quanto “non” accaduto, in quanto – *ATTENZIONE SPOILER* -la verità non emergerà fino alla fine.

I temi che tocca La sala Professori ci riguardano tutti

È anche un film sulla rabbia che reprimiamo e che poi arriva ad esplodere all’improvviso (in una scena l’insegnante chiede ai suoi allievi di urlare e lo fa con loro, per liberarsi dallo stress).

E sugli attacchi di panico. Su quel senso di oppressione che ci toglie il respiro quando non riusciamo più a vedere una via d’uscita.

Sul razzismo che serpeggia invisibile, fino a quando non succede qualcosa ed è lì che è pronto a manifestarsi nella sua brutale interezza, lasciandoci capire quanto siamo ancora lontani dall’essere meglio di ciò che pensiamo.

Sul fallimento del sistema scolastico, così come oggi è pensato nella maggior parte delle scuole. Quando oltre alla didattica, non riesce a formare le donne e gli uomini del futuro, dandogli il buon esempio su come gestire situazioni complesse.

Sul fallimento degli adulti, che a volte dovrebbero essere migliori dei figli o perlomeno essere consapevoli dei propri errori, ma spesso tanto chiusi mentalmente da non riuscire a guardare oltre le proprie convinzioni.

Sui giudizi frettolosi e sui pregiudizi, sul desiderio di trovare un colpevole più che una causa.

Sulla solitudine di ognuno, adulti e bambini, sull’incapacità di comunicare.

Sulle buone intenzioni che spesso lo sono solo dal nostro punto di vista.

Perché è importante vedere questo film e consigliarlo

L’immedesimazione, per chiunque abbia vissuto l’ambiente scolastico con tutte le sue regole, reprimende, punizioni e contraddizioni è totale.

Se ne esce male, avviliti.

Nel luogo in cui per antonomasia la comunicazione dovrebbe essere alla base di tutto, l’incomunicabilità sembra esponenziale con i giovani studenti a diventare spesso la copia carbone degli adulti.

Coloro che dovrebbero dare il buon esempio e mitigare i toni tendono a tagliare i ponti, ognuno chiuso nelle proprie convinzioni.

Il finale frettoloso può lasciare un po’ di amaro in bocca, ma anche una serie di interrogativi su cui tutti dovremmo riflettere, come società.

Qual è la funzione della scuola?

Rimettendoci in discussione, adulti in primis, consapevoli di non essere perfetti, pronti ad assumerci le nostre responsabilità.

Bisognerebbe farlo vedere nelle scuole, assieme a docenti, dirigenti e genitori e stimolare il dibattito, proprio come hanno fatto all’Istituto Enrico Falck.



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