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Cosa ho imparato da Michael Jordan e dal documentario Tha last dance, sui Chicago Bulls

Avevo un poster nell’armadio della mia cameretta rosa, quando era adolescente. Era uscito dal Cioé – non so se siete troppo giovani per sapere cosa sia il Cioé – ed era appunto una gigantografia di Michael Jordan che saltava a canestro o sarebbe meglio dire, volava, per una delle sue schiacciate.

Ho sempre amato la pallacanestro e per un periodo mi sono allenata con la squadra maschile locale del mio paese, ma non ho mai giocato perché mancava la squadra femminile.

Una passione poi sopita con il tempo e la mancanza di possibilità nel metterla in atto, ma la cotta per Michael Jordan non mi è mai passata.

Potrete immaginare la mia gioia nello scoprire che Netflix avrebbe trasmesso una speciale docu-serie dedicato proprio ad MJ e all’ascesa dei Chicago Bulls.

Puntata dopo puntata ero lì incollata allo schermo, sentivo l’adrenalina come se stessi vincendo io il settimo titolo di NBA.

Ma non te ne voglio parlare solo per raccontarti di basket.

The last dance è un trattato di sociologia dello sport, ma non solo

Basta un occhio un po’ più attento per capire che quel racconto in puntate, dalla voce di Michael Jordan e dai protagonisti di quel periodo, equivale ad un vero e proprio trattato di sociologia dello sport, di leadership, team building, intelligenza emotiva e molto altro.

Quello che succede nel microcosmo dei Chicago Bulls è molto di più che semplice basket, è una rappresentazione della vita, delle vittorie e delle sconfitte, delle amicizie e dei tradimenti, della capacità di mettersi in discussione, di superare i propri limiti.

C’è una frase pronunciata da Michael, che più delle altre mi ha fatto capire il mondo di Mr Air Jordan:

Tutti vorrebbero essere Michael Jordan per un giorno o per una settimana, ma chi vorrebbe esserlo per tutta la vita?

Eh già, non è semplice essere MJ, occorre passione, autodisciplina, perseveranza, consistenza, focus sull’obiettivo, una grande sete di vittoria e una enorme consapevolezza di se stessi e delle proprie capacità.

Michael Jordan sapeva di avere talento, ma di certo non bastava per diventare una leggenda che ancora oggi fa sognare. Qualche giorno fa ho ricevuto un cs dove veniva comunicata la risalita delle vendite del merchandise legato a Michael Jordan, questo dice molto della percezione che ancora oggi le persone comuni hanno di lui, persino chi è nato quando aveva già smesso di giocare.

L’importanza di essere Michael Jordan

Lui aveva tutto: il carisma del leader e anche l’antipatia di chi chiede tutto a se stesso e molto agli altri.

Un altro momento interessante del documentario è proprio quello incentrato sul rapporto di Michael con gli altri, con il resto del team in primis.

Michael aveva il “difetto” di voler vincere sempre ad ogni costo, anche a costo di fare tutti i punti della partita da solo se gli altri non erano in forma.

Non accettava di perdere. Non accettava che i suoi compagni non fossero al suo livello e li spronava a migliorare, a darsi da fare, di più rispetto a quello che avrebbero fatto se lui non ci fosse stato.

Le persone più intelligenti hanno capito quanto erano fortunate a poter lavorare con Michael, perché della voglia di vincere di Michael ne beneficiarono tutte le squadre delle NBA, non solo i Chicago Bulls. Tutti si preparavano per non essere umiliati da MJ.

Sicuramente questo non lo rendeva il compagno di squadra più simpatico, ma non essere diverso non era nelle corde di MJ, lui era un leader nato e non ti faceva sconti. Se doveva insultarti lo faceva.

Il lavoro di squadra secondo Michael Jordan

Un limite di Michael fu però per molto tempo la sua incapacità di lavorare in team e di fidarsi dei compagni di squadra. Eccetto per Scott Pippen il suo braccio destro e numero due dell’NBA degli anni ‘90, difficilmente sopportava che non gli venisse passata la palla per andare a canestro. Eppure, imparò a lavorare anche su questo, perché era vero che era il più grande cestista, ma la sua squadra almeno inizialmente faticava a vincere, e questo lo rendeva meno completo del suo competitor numero uno, ma anche grande amico Magic Johnson dei Los Angeles Lakers. Suo grande amico anche fuori dal campo.

Grazie al suo allenatore Phil Jackson, appassionato di Indiani d’America e di filosofia, Michael migliorò anche su questo aspetto, ma se non avesse avuto compagni di squadra all’altezza e che soprattutto comprendessero l’importanza di un leader non sarebbe successo. Loro avevano accettato di stare un passo indietro a Michael per vincere insieme, in particolare Denis Rodman. Anche lui grande talento, ma con la grande necessità – per non perdere il binario – di avere accanto una persona come Michael, che credesse in lui e lo spronasse al meglio.

Il coach Phil Jackson è il vero mentore di Michael Jordan sul campo, assieme al padre. Michael deve molto a Phil, e ne è talmente consapevole che è proprio per lui che lascerà i Chicago Bulls. 

Il limite di un capo, può diventare il tuo limite

Altro ruolo chiave è quello del general manager Jerry Krause che ha creato i Chicago Bulls, ma sotto certi aspetti li ha anche “distrutti”. Una persona che sottopagava i giocatori numero 1 e 2 dell’NBA e che non è riuscito a comprendere forse fino in fondo quanto quella squadra stesse facendo la storia, oltre qualsiasi compenso economico.

Jerry non era stimato dai suoi giocatori, o almeno questo e quello che traspare dal racconto di Jordan, semplicemente perché non era riconoscente di quanto fossero stati importanti nell’aver portato la squadra e di conseguenza la società ai livelli che era negli anni ’90.

Ciò che traspare, ovviamente dalla ricostruzione – visto che Jerry è morto nel 2017 e non ha potuto dire la sua nel documentario – è che Michael non ha mai voluto essere considerato un Dio, un’icona o una legenda.

Era semplicemente una persona molto talentuosa e competitiva, era così, ci era nato con quella forma mentis.

Michael Jordan non voleva essere considerato un Dio

Anche se sono state messe in luce anche alcune debolezze come il gioco d’azzardo e le scommesse, ci viene ancora da pensare che Michael fosse davvero poco umano dal punto di vista dell’assertività, dell’abnegazione, della passione che lo faceva brillare in ogni cosa che faceva. I suoi punti deboli, considerando tutto quello che aveva ottenuto e ciò che poteva permettersi e che veniva dal nulla, erano tutto sommato accettabili. Delle debolezze che forse in parte lo rendevano meno perfetto di come le persone volevano immaginarlo, ma non meno incredibile.

Tutto sommato MJ non ha mai fatto uso di droghe, non è mai voluto stare al centro dell’attenzione con la sua vita privata, non ha mai cambiato donne, si è sposato ed ha avuto figli giovanissimo, ha divorziato e si è sposato di nuovo avendo altri due figli, ma rimanendo sempre riservato sulle faccende personali.

Per una star del suo calibro comportamenti decisamente normali, per uno sportivo del suo livello quasi da santo.

Il lato umano di Michael Jordan

Il lato umano di Michael, quello sensibile, emerge, nell’amore incondizionato per il padre, il suo faro. Nel rispetto per i compagni e per il suo allenatore, valori su cui non ha mai vacillato, ma soprattutto l’etica del gioco. Michael non ha mai finito una partita senza stringere la mano all’avversario, anche nel momento in cui aveva perso e la ferita bruciava.

Dopo questa lunga ma doverosa, vi lascio le 9 lezioni e riflessioni che ho portato a casa, guardando questo docu-serie, sul lavoro di squadra, sulla leadership, sul talento e molto altro:

  1. Essere un leader non è così semplice come sembra. Tu penserai, gli altri devono fare ciò che vuoi tu perché sei più bravo e lo hai dimostrato. Ma non è così facile, non tutti amano sentirsi dire cosa devono fare, non tutti amano essere spronati, non tutti hanno la stessa passione per le cose. Di certo sarai molto più solo del compagno che invece è il simpatico del gruppo. Lo sapevamo già ma Michael ci ha spiegato ancora una volta che non si può fare il leader ed essere simpatici.
  2. Gli incontri importanti possono cambiarti la vita. MJ non sarebbe stato MJ senza due persone fondamentali che hanno creduto in lui, il suo primo allenatore Dean Smith ai tempi dell’Università in North Carolina e il mitico Phil Jackson nei Chicago Bulls.
  3. Avere dei compagni di squadra che riconoscono in te certe qualità e ti aiutano a metterle in luce è fondamentale per poter diventare Mj.
  4. Se vuoi ottenere qualcosa di grande dovrai fare delle rinunce, se vuoi essere più bravo di tutti dovrai allenarti sempre di più degli altri e non lamentarti.
  5. Il sostegno incondizionato della tua famiglia è la parte più importante del processo.
  6. Essere competitivi non è un difetto, anche se nella società di oggi spesso chi ammette di voler raggiungere determinati obiettivi viene definito egoista. Investire su una persona che ha passione più delle altre è sinonimo di intelligenza. Investire su personi mediocri solo perché staranno al loro posto, invece, non lo è affatto.
  7. Gestire le emozioni è la parte più difficile di tutto ciò che devi fare per arrivare alla tua meta. Ogni volta che cadrai ma soprattutto quando sarai in alto, imparare a riconoscere ciò che si prova e a dargli il giusto valore e la giusta importanza, è l’esercizio più sfidante per chi vuole arrivare in alto.
  8. Mantenere un’integrità, essere fedeli a se stessi mentre si persegue un obiettivo è ciò che ci renderà ciò che siamo, aldilà di quello che otterremo. Perdere senza stringere la mano agli avversari non darà – negli anni successivi – nessun valore a quella vittoria. Saper incassare una sconfitta è la prima cosa da fare per poter migliorare e vincere.
  9. Tutti nella squadra hanno un ruolo e ognuno deve essere fedele al suo, non puoi chiedere a Michael Jordan di cambiare, di essere più umile e meno ambizioso, né a Scott Pippen di essere più duro, esigente o carismatico. L’ideale è tirare fuori il meglio da entrambe le personalità, ma cambiare assolutamente no.

In conclusione

So che questo post è un po’ diverso dai miei soliti, ma ho pensato che era importante scriverti delle riflessioni che mi ha fatto maturare questa docu-serie anche per dirti che possiamo imparare in ogni momento della giornata, scegliendo ciò con cui decidiamo di nutrire la nostra mente.

Le biografie, le storie di persone e personaggi che hanno saputo lasciare un segno nel loro piccolo o in modo grandioso come MJ, hanno tutte storie da raccontarci e vedrai che non sono state affatto semplici e lineari. Molti dei loro consigli, ciò che loro hanno imparato possiamo assorbirlo per metterlo in pratica in qualche aspetto della nostra vita, ne sono sicura!

roberta costantino blogger e podcaster

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