Quando ripenso a quello che sognavo di diventare da grande, ricordo che fare la scrittrice era sicuramente tra le mie priorità, assieme alla stilista. Tutta colpa di Gira la moda e chi è nato negli anni ’80 come me, se lo ricorderà.
Questo sogno lo misi da parte perché non era contemplato come lavoro, in una piccola cittadina del Sud Italia dove si faticava già a trovare un lavoro “normale”, figurarsi uno estroso come quello.
Intanto, la maestra alle elementari – e la ringrazio – prese l’abitudine di portare in classe dei libri dalla biblioteca, per “educarci” alla lettura. C’erano quasi sempre libri con storie tristi con ragazzi orfani e vite ai limiti della povertà. Forse rincuorata dal titolo, pensando fosse una storia più allegra, presi Piccole Donne. Mi sbagliai perché la storia era una mazzata, ma fu da allora – lo ricordo bene – che iniziai a sentire forte questo attaccamento alle parole, alla descrizione, alla sensibilità fatta narrazione. E anche un po’ alle storie malinconiche.
Ho sempre avuto qualcosa per la scrittura, non saprei dirti cosa. Una passione, una necessità, un’urgenza. Scrivevo sulla carta da parati di nonna già a 3 anni, e anche sulla carta igienica nel bagno – stranamente non mi sgridava – ma i divani erano sempre coperti, credo di non aver mai visto il loro colore originale, forse non si fidava. E faceva bene!
Certo non ero autrice di chissà quali storie, ma nel mio linguaggio da bambina sono sicura che immaginavo grandi cose. A volte trovo ancora qualche mio geroglifico su vecchi album delle fotografie. L’ambiente in cui sono cresciuta era un po’ un mondo di piccole donne, ho trascorso tutta l’infanzia facendo la spola tra casa di nonna, con le mie zie giovani che vivevano ancora lì e il salone di mamma a dieci metri con altrettante donne che ogni giorno raccontavano storie e io mi incantavo a guardarle. A spiarle. Come si truccavano, come si vestivano, come si muovevano, cosa dicevano. Ognuna di loro nella mia testa diventava il personaggio di un romanzo che forse non inizierò mai.
Quando ho cominciato la scuola, l’ora di italiano era la mia preferita, e anche il tema. Ricordo i visi svogliati di alcuni miei compagni di classe di fronte alla traccia e al foglio bianco.Impossibile dimenticare quanto fosse difficile per alcuni di loro andare oltre le cinque righe, mentre io straripavo sui fogli – che scroccavo a Maurizio. Chissà che fine ha fatto Maurizio.
Che darei per rileggerli, ora.
Sogno di avere il talento per la scrittura che ha mia sorella, lei ne ha a pacchi, solo che non lo sa (o fa finta di non saperlo). A volte vado a rileggere le email racconto delle sue giornate a Vienna, e rido da sola.
Il mese scorso ho letto Il diario dell’inquietudine di Fernando Pessoa. È uno dei più belli che abbia mai letto. Vorrei arrivare ad un decimo della consapevolezza di Pessoa nella vita, mi basterebbe.
La scrittura è un’urgenza di chi sente troppo, e quel libro lo racconta benissimo. Così bene che non posso far altro che sentirmi una “zappatrice della penna” di fronte ad una profondità tale che forse neanche in un’intera vita raggiungerò. Anzi, sicuramente.
Eppure, scrivere mi fa bene, mi salva da me stessa e anche dall’esterno. Mi aiuta a prendere le giuste distanze dalle cose.
Se stai leggendo questo post, forse anche tu provi quello che provo io. Anche per te scrivere è importante e vorresti farlo più spesso. Forse anche tu non ci credi abbastanza, ma fidati, se anche uno su mille ce la fa, quello che conta è che tu scriva in primis per te stesso, se lo ritieni davvero importante.
Ecco i motivi per cui devi continuare a farlo o perlomeno quelli che funzionano per me:
È come andare in terapia
Se anche tu hai quel fastidioso problema dell’over thinking, ovvero che “pensi troppo”, ti arrovelli su quello che è successo, succede e succederà, hai un problema. Ti capisco perché anche io spesso faccio l’analisi grammaticale e logica di tutto quello che mi accade. Questo può essere un bene, ma molto spesso un vero disastro. Il nostro cervello è continuamente stimolato dal pensare, pensare, pensare e non ci concentriamo sul presente. Ebbene, scrivendo anche solo il famoso “diario” che ora le YouTuber più famose hanno ribattezzato daily journal, possiamo dar sfogo alle nostre elucubrazioni e sentirci più leggeri, una volta lasciata la penna.
Ti fa sentire bene
Possiamo guardare in binge watching serie su Netflix spaparanzati sul divano condividendo Stories sul nostro relax mood. Apparentemente penseremo di esserci rilassati, ma in realtà – quando ci rialzeremo – sentiremo che non abbiamo cambiato il nostro status più profondo, non ci sentiamo appagati da quelle ore spese così, a volte interi weekend, e mi ci metto anche io. Quando però facciamo qualcosa mettendoci un pezzetto di noi, la sensazione è totalmente diversa. Non è necessario scrivere un libro, basta anche solo una frase al giorno, un pensiero però che è nato da noi, che abbiamo elaborato e ci fa sentire parte di questo universo, come esseri pensanti.
Ti aiuta a prendere decisioni migliori
A volte, presi dalla routine, siamo spesso fuori focus. Il nostro cervello si arrovella su mille questioni, procrastinando le decisioni importanti. Quando dobbiamo fare chiarezza in noi stessi, scrivere può essere un valido aiuto. È gratuito, basta un foglio e una penna, o un pc e non necessita di spostarsi, possiamo farlo ovunque. Che noi siamo in ufficio, in un parco o in mezzo al mare, se abbiamo bisogno di capire cosa sta succedendo dentro di noi riguardo qualcosa che ci sta a cuore. Scrivere è una delle strade più efficaci, a mio avviso.
Serve a conoscersi meglio
Pensiamo di conoscerci, di sapere tutto di noi stessi. Eppure, quante volte ci meravigliamo delle nostre stesse reazioni, quando siamo messi davanti ad una prova. Mettere nero su bianco le nostre emozioni, o anche le storie che ci colpiscono ci fa entrare in contatto con la parte più profonda di noi stessi. Sì perché mentre il “solo” pensare ci spinge in una sorta di gorgo kafkiano che non porta da nessuna parte, il doversi fermare a concretizzare con le parole un pensiero ci costringe a dare peso alle nostre emozioni.
A cosa mi è servito scrivere?
Anche se non sono diventata una scrittrice come Louise May Alcott come sognavo da bambina, la passione per la scrittura mi ha indirizzato quasi senza neanche pensarci verso il mio lavoro, ma non solo. Quella necessità mi ha portato ad aprire questo blog, nel lontano 2007 e da queste pagine, ho avuto modo di farmi conoscere, anche nel mondo del lavoro. E già, perché lavorando nel mondo della comunicazione digital pressocché dai suoi esordi in Italia, quando andavo ai colloqui, il fatto che fossi laureata con il massimo dei voti contava poco, contava quasi di più che avessi un blog e lo usassi bene. Non occorre essere scrittori per sentirsi scrittori, se ami scrivere, se lo fai, lo sei. Non essere tu stesso il tuo limite.
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