È possibile oggi vivere senza social? Lavoro con i social, uso le chat anche per lavoro. Il problema è appunto questo, non c’è un confine tra il “mondo fuori” e la vita privata. Essere sempre raggiungibili, in qualsiasi momento, sentirsi in dovere di rispondere ai messaggi e alle notifiche di chiunque, solo perché li abbiamo ricevuti, anche quando siamo impegnati in altro, ci fa sentire incapaci di staccare . Sono sicura che se state leggendo questo post, chi più e chi meno vi sentiate nella stessa situazione.
È incredibile non rendersi conto di quanto quelle piccole interruzioni, piacevoli o meno, influiscano sulla giornata, sull’umore, sullo stato d’animo e in generale sul nostro stile di vita.
E così, dopo un anno, (dalla scolarizzazione ormai – come dicevo qui su Instagram – settembre è l’inizio del nuovo) , complice la partenza estiva per le Isole Tremiti dove il telefono prende poco, ho deciso di disinstallare le App più “invadenti” e in realtà tenere quasi sempre il telefono spento, azzerandone (quasi) anche l’uso per le foto.e la macchina fotografica.
Ah sì, perché ve ne sarete accorti anche voi, ovunque siamo, al Museo del Louvre, davanti ad un tramonto o alla sagra della tellina, la prima cosa che facciamo è fare (spesso inutili) foto.
Talvolta spontanee, altre volte ancora studiate per Instagram, per prendere like e mostrare a tutti quanto siano divertenti, belle e speciali le nostre uscite. Ma è davvero sempre così?
Eliminarsi dai social: sì o no?
Mi è capitato qualche volta di leggere storie di persone attive sui social che decidevano per qualche giorno di stare lontane dalle App. La loro esperienza iniziale era di spaesamento e noia, lo smartphone è ormai un vero e proprio riempitivo delle nostre giornate, dei tempi morti, ma spesso – ed è questo che mi preoccupa di più – dei momenti “vivi”, quelli in cui dovremmo essere presenti a noi stessi o agli altri che ci circondano.
In questo mese mi sono sentita un’osservatrice (anche) del mio comportamento attraverso quello degli altri. E tra le varie idiosincrasie, il non essere presenti al 100% con la mente, mi è parso l’aspetto più triste.
Essere davanti ad un tramonto e guardarlo attraverso lo schermo di uno smartphone, per fare foto (troppe, ne basterebbe anche una sola), per posare come Belen, per fare Stories, per fare video, spesso assieme a qualcuno a a sua volta chino sullo schermo: quante volte lo abbiamo fatto?
Ricordate quando si partiva per le vacanze con la macchina fotografica usa e getta?
Il rullino era da 18 o da 36, se si era fortunati e la mamma investiva qualche lira di più sui nostri ricordi da collezionare.
18 momenti da immortalare. 18 istanti che raccontavano qualcosa che avremmo scoperto solo a settembre, dopo aver portato il rullino a sviluppare e lì la sorpresa, di quelle 18 o 36 foto, solo la metà erano venute decenti: alcune erano bruciate, in altre avevamo messo il dito davanti all’obiettivo, ma di quelle “buone” ridevamo per settimane studiando i nostri visi e ricordando il momento in cui le avevamo scattate, che era stato totalmente spontaneo e forse per quello più bello da immortalare ricordare.
Voi direte, facile stare senza social quando si è in vacanza
Non proprio. Tutti attorno a te scattano foto, condividono Stories, se le riguardano, orgogliosi delle prodezze con la GoPro, fosse anche solo tuffarsi da uno scoglio di 10 centimetri. Le ragazze appollaiate su uno scoglio con maxi cappello di paglia, si prestano a interi shooting fotografici per portare a casa uno scatto pazzesco da mettere – ovviamente – su Instagram, perché la preoccupazione in questi casi è sempre e solo una: postare.
Per dire agli altri che anche noi viaggiamo, ci divertiamo, siamo gnocche quando vogliamo, abbiamo un bel cappello di paglia, conosciamo posti fighi e ci tuffiamo anche. Poco importa che ci siano voluti 20 minuti buoni prima di decidere che sì- per amore di Instagram e del fidanzato che ha comprato la GoPro in offerta su Unieuro – occorreva ottimizzare la spesa e buttarsi.
Ho osservato queste scene ogni giorno. E mi ci sono rivista. Non mi ergevo a essere superiore, ma mi sentivo libera in quel momento. Sentivo che ero lì presente per me stessa e per nessun altro.
Le lezioni che ho imparato stando lontana dai social
Quand’è che ci siamo dimenticati che i social sono un mezzo e non il fine? Sì perché c’è un lato della condivisione che è pazzesco: è ispirazione, coinvolgimento, compagnia, conoscenza, apertura mentale. Al tempo stesso, quando decidiamo di fare qualcosa, che sia un viaggio o anche un selfie, solo per postarlo poi sui social, diventiamo delle vittime, in primis di noi stessi, poi del giudizio degli altri e per ultimo, dei social che diventano il luogo a cui rivolgiamo lo scopo delle nostre azioni.
Non voglio dilungarmi troppo, perché non sono una sociologa, né una dottoressa che sappia analizzare le psicopatologie della vita quotidiana. Penso solo che questo “esperimento” mi sia servito, in particolare: a ricreare i confini di ciò che può entrare nella mia sfera personale e ciò che invece deve rimanere fuori, nonostante le App e lo smartphone sempre a portata di mano.
Che posso esserci sui social, ma con autodisciplina. Scegliendo di postare solo quando credo sia utile o interessante, per me o per chi mi segue, condividere quella foto, quella didascalia o quell’informazione.
Che non devo perdermi nelle vite degli altri, perché potrei distrarmi dalla mia. Quante volte ci mettiamo a guardare a nastro le Stories di perfetti sconosciuti, passando dalle vacanze ad Ibiza a quelle in Grecia o le nevrosi di qualche milanese imbruttita, o i consigli di qualcun altro su un argomento che fino a 5 secondi prima non ci interessava.
Creiamo noi l’agenda setting dei nostri interessi e non facciamo che sia il feed dei nostri social a decidere cosa dobbiamo pensare o la meta delle nostre prossime vacanze.
Voglio chiudere questo post raccontandovi un aneddoto di questo mese senza social che è stato un po’ la chiave di lettura di tutto.
Ero lì appollaiata sul mio scoglio preferito ad aspettare il tramonto, un libro tra le mani. Poco distante da me una famiglia, un po’ rumorosa dallo spiccato accento pugliese. Il papà che somigliava a Boris Johnson con ancora più pancia – se possibile – era già a mollo, mamma e figlio poco più che ventenne si immergono poco dopo, quando il sole sta già sparendo dietro l’orizzonte blu del mare e si gustano la scena nelle placide acque. Quando ormai è sceso e il cielo comincia ad assumere sfumature rossastre, li raggiunge sullo scoglio una ragazza bionda: perizoma di ordinanza, fisico longilineo – crudelmente potrei dire instagrammabile, secondo i canoni di bellezza di Instagram appunto – e cappello di paglia, con lei un’altra ragazza, meno avvenente. Entrambe sono appena tornate da uno shooting degno del catalogo di costumi Calzedonia. Pose languide o sexy al sole, con il controluce, sopra le piattaforme con le palme (da 25 euro al giorno), ma che alle 20 sono accessibili a tutti.
Il fratello – o presunto tale – esce dall’acqua e le chiede cosa avesse fatto fino a quel momento, lei risponde serafica: “Le foto”, e lui con uno sguardo rassegnato e il tono da ramanzina: “Secondo te è più bello farsi il bagno in mare al tramonto, o fare le foto?”.
A voi la risposta.
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